I protagonisti della “scuola matematica urbinate”


Nel Cinquecento il Ducato di Urbino vide la nascita della cosiddetta scuola matematica urbinate inaugurata dal matematico-filologo Federico Commandino. Essa non si configurava come un’accademia né come un ambiente di studio strutturato, ma era piuttosto un circolo di studio sorto spontaneamente. Allo stesso modo non era previsto un vero e proprio percorso didattico definito, ma il programma di apprendimento, se così possiamo definirlo, era strettamente funzionale alla restaurazione dei classici della matematica antica. Commandino ebbe numerosi allievi, citiamo i più rappresentativi: Guidobaldo del Monte, Bernardino Baldi, Simone Barocci e Alessandro Giorgi.

La scuola informale di Commandino crebbe in un contesto culturale caratterizzato dalla presenza di illustri generazioni di architetti militari e di rinomati costruttori di strumenti di precisione. Questa contaminazione di formae mentes diverse avrebbe dato origine alle prime considerazioni epistemologiche sul rapporto tra materia e principi matematici, seppure evidenziando i limiti di un’applicazione teorica ancora priva di alcuni concetti che verranno delucidati solo un secolo e mezzo più avanti, quali, per esempio, l’inerzia e l’attrito.

L’attività di traduzione delle opere della matematica antica di Commandino iniziò come espletazione di un incarico assegnato da Marcello Cervini (papa Marcello II). Cervini aveva chiesto all’urbinate di redigere le traduzioni latine, al tempo molto oscure, del De analemmate di Tolomeo e de Sui corpi galleggianti di Archimede. Questo compito si trasformò in un’impresa che diede come esito il recupero ad ampio spettro di molti classici della matematica greco-ellenistica. Al tempo stesso, Commandino e i suoi allievi intrapresero una rigorosa difesa delle discipline matematiche e della loro forza applicativa distaccandosi da una concezione culturale, largamente diffusa, secondo la quale la matematica doveva essere teorica e non utile all’attività pratica. Per questo motivo la scelta di tradurre in latino da una parte assicurava larga diffusione alle opere, in quanto il latino era la lingua “internazionale” e scientifica, dall’altra garantiva la dignità delle discipline matematiche. Secondo il poliedrico urbinate Bernardino Baldi, era necessario ripristinare la dignità delle discipline matematiche, perché certi «vili meccanici» avevano «imbrattato», col loro «sordido» comportamento tutto dedito al guadagno, la purezza delle matematiche. Questa missione poteva essere portata avanti solo scegliendo una lingua nobile in grado di conferire nobiltà anche alle matematiche stesse. L’attività e la produzione letteraria dell’architetto Muzio Oddi, ultimo esponente della scuola matematica urbinate, sono emblema della sintesi di teoria e pratica: Oddi utilizzò la matematica antica e i lavori dei suoi maestri per progettare strumenti, edifici e sistemi di difesa militare.

La restaurazione della matematica antica contribuì altresì alla rimessa in circolazione dei procedimenti assiomatici-dimostrativi tipici della tradizione archimedea. Ad esempio Guidobaldo del Monte, allievo di Commandino, scrisse il Mechanicorum Liber (1577) per fornire una sistemazione teorica delle macchine semplici. Il Mechanicorum Liber è il primo trattato a stampa sulla meccanica e del Monte era pienamente consapevole del fatto che il suo Mechanicorum Liber fosse un trattato unico nel suo genere. Portavoce di questo effervescente clima culturale e scientifico è il già citato Bernardino Baldi il quale iniziò la stesura delle vite dei matematici per elogiare il suo maestro. Commandino, Guidobaldo e Baldi si autoproclamarono promotori di una “nuova” matematica che, dopo un periodo di sonno profondo, ora stava vivendo una seconda giovinezza grazie alla restaurazione dei testi portata avanti da loro. La “nuova” matematica, a differenza di quella tradizionale, basata sulla filosofia aristotelica e sulle conoscenze astrologiche, si fondava su dimostrazioni geometriche e sul rigore assiomatico-deduttivo. I metodi e le strategie dimostrative della “scienza” archimedea e della geometria euclidea verranno impiegati dai matematici urbinati del Cinquecento per indagare i fenomeni meccanici, alcuni portentosi come il comportamento della coclea. Diversamente, la matematica tipica del Quattrocento, seppure con diverse eccezioni, era riconducibile a due approcci che possiamo così distinguere: uno di tipo speculativo e l’altro di tipo pratico. Il primo, più qualitativo e teorico, veniva spesso impiegato per studiare il movimento degli astri. Il secondo, di tipo pratico, era tipico delle attività produttive e si basava su procedure consolidate e l’esperienza. Inevitabilmente, la mutazione della matematica all’insegna delle conoscenza e delle tecniche dimostrative archimedee ed euclidee rappresenteranno di fatto la via maestra che condurrà alla rivoluzione scientifica.


Federico Commandino

Federico Commandino nacque a Urbino il 16 giugno 1509 [1]. Suo padre, Battista Commandino, aveva ricoperto incarichi di architetto e di supervisore delle fortificazioni di Urbino per i duchi Guidubaldo da Montefeltro e Francesco Maria I della Rovere. Fin dalla prima educazione Federico Commandino fu indirizzato verso lo studio dei testi classici e delle matematiche. Grazie al suo precettore maestro Giacomo Torelli da Fano il giovane Federico imparò latino e greco. Nel 1527 Battista coinvolse nella formazione di suo figlio anche Giovan Pietro Grassi, con il quale Federico affinò il latino, la retorica e la dialettica e imparò la matematica. Nel 1530 Federico Commandino seguì Grassi a Roma, il quale era stato chiamato dal cardinale e bibliofilo Nicolò Ridolfi, a quei tempi vescovo di Viterbo. La conoscenza di Ridolfi permise a Federico di avere un primo contatto con il mondo dei codici e delle biblioteche. Grazie all’appoggio dei due protettori, Commandino poté ricoprire la carica di camerero segreto al servizio del papa Clemente VII, al secolo Giulio dei Medici. Tra le varie mansioni, nelle ore dedicate al riposo doveva leggere al pontefice i testi che quest’ultimo possedeva.

Nel 1534 Commandino iniziò a frequentare l’università di Padova, sebbene in maniera irregolare. Ne è testimonianza il fatto che il 19 ottobre 1537 Commandino era a Roma, come risulta da una lettera inviata al matematico fanese Tommaso Leonardi. Nella missiva Commandino chiedeva un parere su alcuni problemi matematici e sulle traduzioni di Euclide. Grazie al matematico fanese, Commandino apprese l’algebra e affinò le sue competenze matematiche.

Dopo dieci anni di studio (1544), Commandino prese il titolo universitario in medicina a Ferrara sotto la supervisione di Anton Musa Brasavola. Conseguito il titolo di dottore, Commandino ritornò a Urbino. Nel 1546 si sposò con Girolama, figlia di Antonio de Bonaventuri, la quale morirà quattro anni dopo le nozze, il 31 gennaio 1550. Tuttavia, farà in tempo a mettere al mondo due figlie e un figlio, morto prematuramente. Poco dopo il matrimonio, Federico fu chiamato dal duca Guidubaldo II della Rovere, al soldo della repubblica di Venezia, come medico personale per le campagne militari. Ritornati insieme a Urbino, Federico approfondì gli studi di matematica presso la corte del duca, ivi ebbe modo di condividere gli studi con la moglie di Guidubaldo II, Vittoria Farnese, e con il fratello di quest’ultima, il cardinale nonché abile filologo Ranuccio Farnese, che soggiornava a Urbino dal 1549.

Nel 1550, dopo la morte del padre, del figlio e della moglie, Commandino decise di lasciare la pratica della medicina, ritenendola pratica «fallacissima», per rivolgere la sua attenzione alla matematica, scienza da lui considerata più esatta e certa. La sua conversione alle matematiche fu totale: mandò le figlie al convento delle monache di Santa Caterina e abbandonò Urbino per andare a Roma al seguito del cardinale Ranuccio Farnese. Tale scelta gli diede l’opportunità di intraprendere una restaurazione dei testi di matematica antica di ampio respiro. 

Nel 1550 Marcello Cervini, futuro papa Marcello II, donò a Commandino due opere che necessitavano di una profonda restaurazione: De iis quae in aqua vehuntur di Archimede (d’ora in poi Sui corpi galleggianti) e il De analemmate di Tolomeo. Al tempo stesso lo incaricò di migliorare le versioni allora disponibili[2].

Nel 1558 Commandino, incalzato dal gesuita Baldassarre Torres diede alle stampe le sue traduzioni del Planisphaerium di Tolomeo e di Giordano e delle prime opere archimedee, sancendo l’inizio del pieno recupero di gran parte della matematica antica. 

Nel 1562 Commandino pubblicò a Roma la versione restaurata del De analemmate di Tolomeo e il De horologiorum descriptione. Commandino inserisce in appendice al De analemmate un libretto sugli orologi per far capire le applicazioni del contenuto del testo di Tolomeo e per insegnare il modo di costruire gli orologi solari sulle superfici piane. 

Nel 1565 Commandino pubblicò a Bologna la traduzione de Sui corpi galleggianti con dedica a Ranuccio Farnese. Sempre a Bologna diede alle stampe il Liber de centro gravitatis solidorum con dedica ad Alessandro Farnese, fratello di Ranuccio.

Nel 1566 dedicò a Guidubaldo II della Rovere la traduzione dei primi quattro libri delle coniche di Apollonio, con i lemmi di Pappo e i commenti di Eutocio, e dei due scritti di Sereno Antinensis. L’opera uscì dal torchio del tipografo bolognese Alessandro Benacci. Commandino a Bologna aveva avuto la possibilità di incontrare Girolamo Cardano e di donargli una copia della traduzione appena nata. Il testo fu utilizzato anche da Johannes Kepler

Dal 1566 Commandino si stabilì definitivamente a Urbino, ricoprendo il ruolo di precettore di Francesco Maria II della Rovere.

Nel 1568 su richiesta dell’anatomista Bartolomeo Eustachio, Commandino progettò un compasso di proporzione a quattro punte (maggiormente conosciuto come compasso di riduzione) che poi consegnò a Simone Barocci in modo che potesse realizzarne la costruzione. 

Dopo la seconda metà degli anni Sessanta del Cinquecento attorno a Commandino iniziò a formarsi una sorta di scuola, quasi un circolo di studio, dove gli allievi discutevano con lui di logica aristotelica e di filosofia naturale e lo aiutavano a tradurre le opere e a disegnare le figure. Nel fondo urbinate ci sono alcuni documenti che possono essere identificati come le dispense che il matematico-filologo urbinate condivideva con i suoi allievi. Tra gli studenti che frequentarono il circolo di studio segnaliamo Valerio Spacciuoli (?-1591), Torquato Tasso (1544-1595), Guidobaldo dal Monte (1545-1609), Bernardino Baldi (1553-1617), Alessandro Giorgi, Giambattista Teofili, Felice Paciotti (1543-1622), Francesco Corona, Francesco Maria II della Rovere e Fulvio Viani de’ Malatesti. Nel 1572, uscì la traduzione latina degli Elementi di Euclide. Questa conteneva l’importante Privilegium papale sia sulle opere pubblicate sia su quelle non ancora pubblicate. Nel 1575 uscì la versione volgare stampata in casa di Commandino e curata da Valerio Spacciuoli. Queste opere furono dedicate dal matematico urbinate a Francesco Maria II della Rovere, a sigillo della loro amicizia e del rapporto di lavoro che lo univa con la famiglia della Rovere. Infatti, Commandino insegnava le matematiche a Francesco Maria in cambio di una pensione che gli permettesse di vivere tranquillo. Commandino morì il 3 settembre 1575.

L’opera commandiniana di restaurazione della matematica si chiuse con la stampa postuma degli Spiritali (1575) di Erone (in parte già tradotti da Giorgio Valla, in De expedentibus et fugiendis rebus opus, 1501) e l’uscita delle Mathematicae collectiones (1588) di Pappo, entrambe curate da Valerio Spacciuoli. Nel 1589 e nel 1592 usciranno le versioni volgari degli Spiritali curate rispettivamente da Giovan Battista Aleotti e da Alessandro Giorgi.

[1] Il problema dalla nascita è una questione ancora irrisolta. Baldi nella Vita di Federico Commandino sostiene che Commandino morì nel 1575 a sessantasei anni, mentre invece nella lapide posta in suo onore all’interno della Chiesa di San Francesco di Urbino è riportata come data di nascita il 1506.

[2] Bernardino Baldi, Le vite de’ matematici. Edizione annotata e commentata della parte medievale e rinascimentale, E. Nenci (a cura di), Milano, FrancoAngeli, 1998, Vita di Federico Commandino. Commandino, 1565b, Lettera dedicatoria ad Alessandro Farnese: «Non multos abhinc annos MARCELLUS II PONT. MAX. cum adhuc Cardinalis esset, mihi, quae sua erat humanitas, libros eiusdem Archimedis de ijs, quae vehuntur in aqua, latine redditos dono dedit».  

Bibliografia: Bianca, C., 1982, Commandino Federico, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 27, Treccani; Gamba, E. e Montebelli, V., 1988, Le scienze a Urbino nel tardo Rinascimento, Quattroventi, Urbino; Rose, P. L., 1975, The Italian Renaissance of Mathematics: Studies on Humanists and Mathematicians from Petrarch to Galileo, Geneva, Libraire Droz.


Guidobaldo del Monte

Guidobaldo del Monte nacque a Pesaro l’11 gennaio 1545 da Raniero del Monte e Pianoso Minerva. Raniero era uomo di architettura e interessato alle pratiche astrologiche. Nel 1542 Raniero ottenne il feudo di Mombaroccio da Guidubaldo II della Rovere e chiamò il figlio Guidobaldo in suo onore. Guidobaldo del Monte ebbe una formazione di prim’ordine. Egli crebbe insieme a Francesco Maria II con cui condivise i maestri, la formazione e l’esercizio delle armi. Il rapporto con il duca Guidobaldo II venne sigillato dal matrimonio tra la figlia di quest’ultimo con il giovane del Monte.

Nel 1564, a 19 anni, Guidobaldo andò a studiare filosofia a Padova. Nel 1566 lasciò l’università per svolgere i primi incarichi da architetto militare al seguito di Aurelio Fregoso, a quel tempo al servizio del granduca di Toscana per aiutare l’imperatore asburgico Massimiliano II nella guerra in Ungheria contro i turchi.

Nel 1568 Guidobaldo ritornò a Urbino e iniziò a frequentare la scuola del filologo matematico Commandino. 

Nel 1571 Guidobaldo accompagnò il figlio del duca, Francesco Maria II, alla battaglia di Lepanto per supportare la lega cristiana, ma si dovette fermare a Messina perché colpito da una forma di sciatica. Da quel momento iniziò a occuparsi più assiduamente di matematica. 

Negli anni successivi frequentò in maniera sempre più costante il laboratorio di Simone Barocci.

Nel 1577 pubblicò a Pesaro il Mechanicorum Liber, il primo testo a stampa dedicato alla meccanica. Dopo qualche anno, nel 1581, uscì la versione volgare curata da Filippo Pigafetta (uomo d’arme, letterato, viaggiatore, parente del più famoso Antonio Pigafetta che fece il viaggio con Magellano). Benché dal punto di vista del contenuto riprendesse fedelmente gli argomenti affrontati nella versione latina, la traduzione si rivelò importante e innovativa sia per lo sforzo di conversione dei termini latini in volgare sia per aver messo a disposizione di architetti e curiosi un libro in cui veniva mostrata l’applicazione e l’utilità pratica di concetti meccanici propri della matematica antica.

Nel 1587, alla morte del padre, Guidobaldo ereditò il titolo di Marchese del Monte e le responsabilità amministrative e giuridiche di Mombaroccio. 

Tra il 1587 e il 1588 Galileo Galilei sottopose a Guidobaldo alcuni lavori sui centri di gravità che sarebbero poi andati a costituire l’opera Theoremata circa centrum gravitatis solidorum. Galileo aveva inviato le sue “esercitazioni” a Giuseppe Moletti, a Cristoforo Clavio e a Guidobaldo, ma solo quest’ultimo rispose apprezzando l’intuizione del giovane toscano. Nel 1588 Guidobaldo pubblicò il commento all’opera In due Aequeponderatium Libros Paraphrasis (Parafrasi sull’equilibrio dei piani), uno dei pochi testi archimedei non revisionati da Commandino.

Dal 1588 i rapporti con i della Rovere peggiorarono notevolmente. Nel 1588 fu conferita a Guidobaldo la prestigiosa carica di Visitatore Generale di tutte le città e fortezze toscane. Probabilmente fu durante questo soggiorno toscano che ebbe modo di incontrare di persona il giovane Galileo. Negli anni successivi Guidobaldo si sarebbe speso affinché Galileo potesse raggiungere una posizione accademica: nel 1589 Guidobaldo lo appoggiò all’università di Pisa e, a seguito del mancato rinnovo, nel 1592 riuscì a fargli ottenere la cattedra a Padova.

Il rapporto di amicizia con Francesco Maria II della Rovere, da tempo incrinato a causa del sempre più forte legame professionale con le corti toscane e di alcuni timori riguardanti la frequentazioni di certe amicizie ostili al Duca, nel 1602 arrivò ai minimi termini, anno in cui Guidobaldo venne esiliato presso il suo marchesato di Mombaroccio. L’esilio forzato terminò nel maggio 1605, quando Francesco Maria II, in occasione del compleanno di suo figlio Federico Ubaldo della Rovere, unico erede al trono, conferì l’amnistia a tutti i criminali. 

Gli ultimi anni di vita per Guidobaldo non furono semplici. Nel marzo 1606 la salute peggiorò considerevolmente e il dolore alla sciatica diventò sempre più insistente. La morte lo colse il 9 gennaio 1607. Se ne andava uno dei “facilitatori” della rivoluzione scientifica; oltre ai suoi meriti scientifici, Guidobaldo fu uno dei primi a investire sul genio di Galileo Galilei e senza la protezione del pesarese Galileo avrebbe avuto probabilmente una carriera molto più difficile.

Guidobaldo fu un intellettuale dai numerosi interessi. Nel corso della sua intensa vita tradusse testi di matematica antica, realizzò strumenti scientifici e si occupò di problemi di idraulica, di architettura militare e civile. 

Bibliografia: Frank, M., 2011, Guidobaldo dal Monte’s Mechanics in Context. A Research on the Connections between his Mechanical Work and his Biography and Environment, Tesi di dottorato, Supervisori Napolitani, P.D. (Università di Pisa), Maccagni, C. (Università di Genova), Renn, J. (Max-Planck-Institut für Wissenschaftsgeschichte, Berlin);  Gamba, E. e Montebelli, V., 1988, Le scienze a Urbino nel tardo Rinascimento, Quattroventi, Urbino; Becchi, A., Bertoloni Meli, D. e Gamba, E. (a cura di), 2013, Guidobaldo del Monte (1545-1607). “Mathematics” and technics from Urbino to Europe, Max Planck Research Library for the History and Development of Knowledge, Berlin, Edition Open Access.


Bernardino Baldi

Bernardino Baldi fu uno dei più insigni rappresentanti e memoria storica della cultura urbinate: egli fu poeta, letterato, storico, biblista, orientalista, conoscitore di 12 lingue ed esperto di gnomonica, di architettura e di meccanica. Baldi nacque a Urbino il 5 giugno 1553 da Francesco Baldi e Virginia Montanari. La sua prima educazione venne impartita dall’umanista urbinate Gianantonio Turaneo, con il quale Baldi apprese greco e latino. Dal 1570 al 1575, Baldi frequentò il circolo matematico diretto da Federico Commandino, grazie al quale poté studiare matematica e apprendere l’importanza, sia culturale sia applicativa, della letteratura matematica antica. Come il suo maestro Commandino e Guidobaldo del Monte, dal 1573 al 1575 Baldi andò a Padova per studiare medicina. Dal 1575 al 1580 Baldi ebbe come maestro Maximos Margunios, insegnante di greco ed esperto di Omero e di poesia greca. Risalgono a questi anni le traduzioni da parte di Baldi del Discorso di Leontio artefice sopra la sfera di Arato et fabbrica di quella e della Belopoeeca di Erone.

Nel 1575, dopo la morte di Commandino, Baldi fu per qualche anno allievo di Guidobaldo. In quegli anni, Baldi iniziò a tradurre in volgare alcune opere del suo maestro Commandino e a sistemare le traduzioni di quest’ultimo rimaste incompiute a causa della morte improvvisa.

Nel 1580 Baldi assunse il ruolo di tutore di matematica alla corte guestallese di Ferrante II Gonzaga e nel 1582 iniziò a frequentare la corte milanese di Carlo Borromeo. In quegli anni, probabilmente stimolato dal colto ambiente milanese, iniziò a scrivere le Exercitationes sui Problemi meccanici di Aristotele.

Dal 1586 Baldi diventò abate abbazia di Guestalla.

Nel 1589 Baldi pubblicò finalmente la versione italiana degli Automata di Erone, iniziata durante gli studi con Commandino e terminata nel 1576. 

Nel 1596 il vociferare sull’intenzione di declassare l’Abbazia portò Baldi a recarsi direttamente a Roma per intercedere con il Papa Clemente VIII. Baldi rimase a Roma fino al 1598, dove approfittò degli insegnamenti di Giambattista Raimondi sulla lingua araba. Negli anni successivi alcuni malumori ed incomprensioni con la corte guastallese ebbero l’effetto di riavvicinare Baldi alla corte urbinate. Non è un caso che in questo periodo (presumibilmente nel 1601) si collochi l’incarico assegnatogli da Francesco Maria II di scrivere la vita di Federico da Montefeltro. Negli anni che seguirono, Baldi riprese ad occuparsi di tematiche scientifiche. 

Nel 1609 l’urbinate lasciò definitivamente la carica di abate di Guastalla, a causa delle continue frizioni, e entrò al servizio del duca di Urbino Francesco Maria II. Negli anni successivi, Baldi terminò in successione Il breve trattato dell’istoria (1611), i due trattati esegetici riguardanti il De architectura di Vitruvio De verborum vitruvianorum significatione e Scamilli impares vitruviani, e il Belopoeeca (1616) di Erone.

Nel 1621, quattro anni dopo la sua morte, avvenuta il 10 ottobre 1617, a Mainz videro la luce le Exercitationes sui Problemi meccanici di Aristotele. 

Bibliografia: Ireneo Affò, 1783, Vita di Monsignore Bernardino Baldi da Urbino, Parma, Carmignani; Guido Zaccagnini, 1908, Bernardino Baldi nella vita e nelle opere, Pistoia, Tipo-litografica toscana e Giovan Mario Crescimbeni, 2011, La vita di Bernardino Baldi, Abate di Guestalla, a cura di I. Filograsso, Urbino, QuattroVenti; Serrai, A., 2002, Bernardino Baldi. La vita, le opere. La biblioteca, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard; Rose, P. L., 1975, The Italian Renaissance of Mathematics: Studies on Humanists and Mathematicians from Petrarch to Galileo, Geneva, Libraire Droz; Becchi, B., 2004, Q. XVI. Leonardo, Galileo e il caso Baldi: Magonza, 26 marzo 1621, Venezia, Marsilio Editore.


Muzio Oddi

Muzio Oddi fu l’ultimo esponente dell’illustre tradizione matematica che ha contrassegnato il Cinquecento urbinate. Egli nacque e si formò a Urbino, ambiente pieno di vitalità scientifica e culturale, in cui i restauratori della matematica antica dialogavano con i costruttori degli strumenti scientifici. Oddi nacque a Urbino il 14 ottobre 1569. Il padre Lattanzio fu un capitano militare e la madre, Lisabetta Genga, apparteneva a un’illustre famiglia di architetti. Oddi fu allievo dello zio materno Nicolò Genga e di Guidobaldo del Monte. Da giovane frequentò per un breve periodo la bottega di Federico Barocci (1530 circa-1612), luogo in cui apprese le basi della prospettiva. 

Tra il maggio e il luglio 1595 Oddi partì per la Borgogna in qualità di ingegnere militare al seguito delle truppe capitanate da Alessandro Brunori e inviate da Francesco Maria II in appoggio alla Spagna nella guerra contro la Francia nell’ottava guerra di religione francese tra cattolici e protestanti. Nel novembre del 1595 rientrò a Urbino per malattia. Il 14 giugno 1596, venne nominato ingegnere ducale da parte del duca Francesco Maria II della Rovere. Tra i 1596 e 1597 Oddi fu a Pesaro, impegnato nei suoi primi lavori architettonici. Nel 1598 fece ritorno a Urbino. In questo periodo condusse diversi progetti tra cui l’ampliamento della Chiesa della Croce, la costruzione di parte dell’attuale municipio di Senigallia, la cattedrale di Fabriano e la cupola del duomo di Urbino che verrà eseguita successivamente in sua assenza nel 1604. 

Il 30 luglio 1599, insieme all’urbinate Urbano Virgili, Oddi venne condannato in contumacia all’esilio per aver pescato in zona vietata e per aver fatto il bagno nudo nel Metauro, un’area situata in prossimità della residenza a Casteldurante di Francesco Maria II. La vicenda dovette risolversi il 7 ottobre, quando, secondo documenti ufficiali, Virgili fu costretto a pagare un’ammenda di pochi scudi. Probabilmente anche per Oddi andò allo stesso modo. Due anni dopo, nel 1601, Oddi venne accusato da Giuseppe Azzolino, un depositario del duca, di stare eseguendo male i lavori a Casteldurante per conto di Francesco Maria II. Oddi reagì ferocemente alle accuse, non solo incolpò il depositario di maldicenza, ma lo minacciò e lo ferì brutalmente. Sebbene non sappiamo quanto ci sia di vero nella vicenda, nella dimora di Muzio a Casteldurante vennero trovati oggetti appartenenti al guardaroba ducale. Oddi si diede alla fuga, rifugiandosi presso la Repubblica Veneta. 

Nel dicembre 1601 Oddi è di nuovo in patria, probabilmente l’architetto urbinate trovò un’intesa informale con il Duca. Dal 22 maggio 1602 al 15 giugno 1605 Oddi fu architetto della Basilica della Santa Casa di Loreto, dove prese il posto di Lattanzio Ventura. 

Il 16 maggio 1605 nacque Federico Ubaldo della Rovere, l’atteso erede di Francesco Maria II. Nell’occasione il duca concesse un’amnistia di cui beneficerà anche lo stesso Oddi. Infatti, poche settimane dopo (1 giugno), tramite atto notarile, Oddi trovò un accordo con Giuseppe Azzolino; successivamente (probabilmente avvenne il 9 giugno) si riconciliò ufficialmente anche con il duca Francesco Maria. Il momento di pace durò poco. Secondo Grossi, Oddi fu accusato di aver intercettato una lettera, indirizzata da Francesco Maria II al marchese Ippolito della Rovere, odiato dal duca, e di averla data alla moglie del duca Livia della Rovere, la quale doveva rimanerne all’oscuro. Il duca dovette andare su tutte le furie. Ippolito si rifugiò a Roma e il 18 agosto 1606 Oddi venne rinchiuso nella Rocca di Pesaro. Durante la prigionia Oddi scrisse due capitoli del trattato sugli orologi solari, tre capitoli dell’opera sullo squadro, una parte del libro sul compasso polimetro e i Gheribizzi riguardanti l’abbellimento urbanistico di Urbino. Intorno alla metà del 1610 la prigionia venne convertita in esilio.

Verso la metà del 1610 la prigionia venne convertita in esilio. Oddi andò a Milano. Nel corso del suo esilio milanese Oddi diede lezioni di arte militare, di geometria applicata, di prospettiva e di gnomonica. Negli anni milanesi insegnò architettura militare e l’uso delle meridiane all’amico e mercante tedesco Pieter Linder e insegnò scienze matematiche a Giovan Battista Caravaggi. Oddi fu assunto anche dal fondatore dell’Accademia del Disegno, Federico Borromeo, per insegnare prospettiva agli allievi dell’Accademia. Nel 1613 Oddi fu anche ingaggiato per insegnare prospettiva agli scalpellini della Cattedrale. Per le sue lezioni, Oddi utilizzò principalmente testi in volgare per meglio farsi capire dai tecnici che frequentavano la sua scuola.

Le competenze matematiche di Oddi vennero apprezzate dalle più importanti famiglie milanesi, per le quali Oddi eseguì lavori e fece da intermediario per l’acquisto di strumenti scientifici di fattura urbinate. Spesso, consapevole della rinomanza delle officine, offriva compassi ai suoi protettori con la speranza di poter rinforzare la propria condizione sociale e lavorativa. Nel 1614 a Oddi venne affidato l’incarico di ingegnere militare nella guerra contro il ducato di Savoia, tuttavia partecipò saltuariamente allo scontro bellico. Nell’ottobre 1618 Oddi venne consultato dalla Repubblica di Lucca per alcuni lavori di arginatura del Serchio. Tra il 1618 e il 1622 disegnò il complesso della Certosa di Pavia e del refrettorio. Nel 1614 pubblicò De gli Horologi solari nelle superficie piane dedicato a Gian Giacomo Teodoro Trivulzio e nel 1625 pubblicò Dello squadro dedicato al conte Bernardino Marliani. Nel 1625 Oddi accettò l’incarico di Architetto di tutte le fortificazioni offerto dalla Repubblica di Lucca, incarico che prevedeva un rassicurante contratto quinquennale. Il contratto della durata di cinque anni e rinnovabile prevedeva uno stipendio di 30 scudi al mese, la fornitura dell’alloggio e l’indennità di trasferta di 50 scudi. Oddi rimase a Lucca per undici anni, fino al 1636. A Lucca Oddi ottenne anche incarichi di modifica e di rifacimento di architetture civili. 

Negli ultimi anni del suo secondo mandato (maggio 1630 – maggio 1635), il suo soggiorno lucchese fu discontinuo per le continue licenze richieste per andare a Urbino. Ormai provato dalla vecchiaia e a seguito della morte del duca Francesco Maria II della Rovere, avvenuta il 23 aprile 1631, a Oddi si prefigurava la possibilità di un più stabile soggiorno a Urbino, meta troppo a lungo proibita dall’odio del sospettoso duca caldeggiato dai suoi consiglieri. Nel 1636 Oddi ottenne il buon servito dal Consiglio lucchese e, quindi, poté fare definitivamente ritorno in patria. Il 30 aprile 1636 Oddi riferì a Camillo Giordani che un suo amico a Firenze gli aveva parlato di un trattato, scritto da un certo Raffaello Grimani, in cui veniva pubblicamente criticato. La risposta di Oddi non si fece attendere: nel 1637 avrebbe pubblicato a Perugia Risposta ai dubbi di Raffaelo Grimani da Orvieto.

Il 7 luglio 1636 Oddi arrivò a Urbino e venne accolto con tutti gli onori. Nel novembre dello stesso anno acquistò la casa del grande pittore urbinate Raffaello Sanzio. Sempre nel 1636 eseguì disegni per la chiesa di Sant’Ubaldo a Gubbio e si dedicò alla costruzione di una villa di campagna a Camogliano. Nel 1638 pubblicò a Venezia De gli Horologi solari.

Tra l’ottobre e il novembre 1638 Oddi fu Gonfaloniere del Comune. Il 18 novembre Oddi fece approvare l’istituzione della lettura di “Matematiche” presso il Pubblico Studio, l’attuale Università degli Studi di Urbino, di cui ricoprì il ruolo di primo lettore con stipendio di 120 scudi annui. Morì il 15 dicembre 1639, lasciandosi dietro una vita tra luci e ombre e il confino durato circa 35 anni. 

Bibliografia: Vernaccia, P. G., 1740, Notizie Istoriche di Muzio Oddi Matematico raccolte da Alvino Diopeio pastore Arcade, BUU, Fondo del Comune, ms 60, cc 1-24; Gamba, E. e Montebelli, V., 1988, Le scienze a Urbino nel tardo Rinascimento, Quattroventi, Urbino; Marr, A., 2011, Between Raphael and Galileo. Mutio Oddi and the mathematical culture of late Renaissance Italy, Chicago-London, University of Chicago Press; Oddi, Mu., 2005, I gheribizzi di Muzio Oddi, Eiche, S. (a cura di), Urbino, Accademia Raffaello; Vernarecci, A., 1889, Della colpa e della prigionia di Muzio Oddi, in «Nuova Rivista Misena», a. II (1889), nn. 7-9, Arcevia; Vernarecci, A., 1893, Della colpa e della prigionia di Muzio Oddi, in «Nuova Rivista Misena», a. VI (1893), n. 12, Arcevia.

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