La storia editoriale dei lavori di Archimede si perde nei secoli, come anche le tracce del suo pensiero. Durante il medioevo Archimede non era molto letto a causa della scarsa correttezza dei codici e della complessa matematica contenuta. I testi di Archimede, a differenza di quelli di Euclide, circolarono con fatica sia tra le botteghe e le scuole d’abaco, le quali erano i luoghi in cui all’epoca si apprendeva principalmente la matematica pratica, sia in ambiente accademico. A rendere più difficoltosa la lettura di Archimede vi era anche il fatto che bisognava disporre di altre conoscenze che Archimede non forniva, ma che erano presenti in altri testi di matematica antica allora indisponibili o incomprensibili. Inoltre, Archimede spesso dimostrava i suoi teoremi senza guidare il lettore. Per esempio nel caso di un ambiente come quello abachistico, dove si imparava per applicazione di casi e rubando con gli occhi, i testi di Archimede erano poco utili all’apprendimento.
Quel poco che si conosceva delle opere di Archimede veniva soprattutto dal De Architectura di Vitruvio. I codici di Archimede fanno il loro ingresso in Occidente nel 1200:
-il codice A, contenente Sfera e cilindro I e II, Misura del cerchio, Conoidi e Sferoidi, Sulle Spirali, Sull’equilibrio dei piani I e II, Arenario, Quadratura della parabola, i commenti di Eutocio a Sfera e Cilindro, alla Misura del cerchio e a Sull’equilibrio dei piani;
-il codice B, contenente Sull’equilibrio dei piani I e II, Quadratura della parabola e Galleggianti I e II.
Mentre il codice C, contenente Sull’equilibrio dei piani I e II, Sui copri galleggianti I e II, Metodo, Spirali, Sfera e Cilindro I e II, Misura del cerchio, Stomachion e riscoperto recentemente, non era probabilmente conosciuto al tempo delle prime traduzioni medieval-rinascimentali.
Guglielmo di Moerbeke, traduttore fiammingo tornato dall’Oriente e stanziatosi presso la corte papale di Viterbo, fu uno dei principali artefici del mancato oblio dei contributi di Archimede. Stimolato da un ambiente, quello viterbese, estremamente dinamico e interessato alle opere di matematica antica (ad esempio la corte viterbese era frequentata da Leonardo Pisano, Campano da Novara, Roger Bacon, Erazmus Ciolek Witelo, John Pecham), nel 1268-1289 Moerbeke aveva prodotto una traduzione latina dei codici greci A e B, ora conservata presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (ms. Ottob. Lat 1850). La traduzione di Moerbeke (d’ora in poi codice O) stranamente non conteneva l’Arenario e i commenti di Eutocio alla Sfera e il cilindro e a Sull’equilibrio dei piani, mentre conteneva il De analemmate di Tolomeo. Purtroppo non sappiamo quando e in che modo i codici fossero arrivati a Viterbo, cioè se Moerbeke li avesse portati con sé dall’Oriente o fossero giunti a Viterbo mediante altri canali. In ogni caso, la traduzione di Moerbeke, di cui verranno realizzate solo poche copie, avrebbe permesso ai lavori archimedei di non rimanere nel buio, considerato che in breve tempo i codici A e B fecero perdere le loro tracce. Sebbene avesse avuto carenze notevoli dal punto di vista della coerenza matematica, la traduzione moerbekiana ebbe il pregio di essere un testimone alquanto fedele dal punto di vista filologico dei codici archimedei. Incrementa il suo valore la perdita quasi immediata del codice B, il quale nel 1311 sparì dalla circolazione. Ebbe vita più lunga il codice A, il quale circolò fino al 1564, quando alla morte del suo ultimo possessore, il cardinale Rodolfo Pio di Carpi, fece perdere le proprie tracce.
Per quanto riguarda le numerose traduzioni tentate e i molteplici commentari prodotti, il Quattrocento fu un secolo fertile. Intorno al 1450 l’umanista Iacopo da San Cassiano (Cremonensis), su proposta del fondatore della Biblioteca Vaticana papa Nicola V e servendosi probabilmente di un codice diverso da A, elaborò una traduzione latina più chiara e agevole di quella di Moerbeke, senza tuttavia riuscire a colmare le lacune matematiche. Una copia della traduzione di Cremonensis (Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. Lat. 261) venne usata da Piero della Francesca, nel Trattato d’abaco e nel De quinque Corporibus regularibus, e da Luca Pacioli, nella Summa.
Intanto a Vienna il giovane tedesco Johannes Muller da Konigsberg, conosciuto come Regiomontano e allievo di Peurbach, faceva la conoscenza del cardinale bizantino Basilio Bessarione, grande umanista, mecenate e bibliofilo. Regiomontano non era solo un giovane brillante studioso, era anche un abile matematico e ottimo traduttore: due caratteristiche che si sarebbero rilevate necessarie per proseguire efficacemente l’ardua riscoperta dei testi di matematica antica. Il mecenate bizantino aveva fiutato il talento. Nel 1462 spronò Regiomontano ad aggiornare il lavoro di Cremonensis. Bessarione, da parte sua, favorì la missione dell’astronomo tedesco insegnandogli il greco e mettendogli a disposizione, oltre alla copia della traduzione eseguita Cremonensis, i numerosi testi di matematica antica di cui era in possesso (come ad esempio la traduzione di Memmo delle Coniche di Apollonio e gli Elementi di Euclide nella versione di Campano) e una copia del codice A, ovvero il cosiddetto codice E. L’incontro si rivelò una miscela esplosiva. Da una parte, il matematico-umanista (Regiomontano) era in grado di porsi in modo critico e competente nei confronti sia del contenuto matematico sia dell’interpretazione filologica dei codici archimedei: due facce della stessa medaglia indissolubilmente connesse, tale che senza l’una sarebbe stato difficile comprendere pienamente l’altra. Dall’altra parte, Bessarione, bibliofilo e mecenate, era in grado di mettere a disposizione codici antichi e testi difficilmente reperibili.
Nel 1474 Regiomontano elaborò un Programma in cui annunciava di voler pubblicare numerose opere di matematica antica. Tra queste segnaliamo le riedizioni di numerosi testi archimedei, delle Coniche di Apollonio, del trattato Sul cilindro di Sereno di Antinopoli, delle Questioni Meccaniche attribuite ad Aristotele e la discussione critica degli Elementi di Euclide tradotti da Campano. Riteniamo sia rilevante anche l’idea da parte di Regiomontano di usare la stampa per aumentare la fruibilità dell’opera. Il lavoro annunciato da Regiomontano non vide la luce, a causa della sua morte prematura. L’approccio del matematico tedesco fu estremamente innovativo. La sensibilità umanistica e l’abilità matematica permise Regiomontano di guardare con occhi nuovi la letteratura matematica antica. Secondo Regiomontano la matematica antica poteva essere utile per conoscere la natura e l’universo.
Il lavoro di Regiomontano non sarebbe rimasto vano. Il progetto editoriale stampato presso la propria tipografia di Norimberga sarebbe stato ripubblicato nel 1514 da Georg Tannstetter. Nel 1544 Thomas Geschauff (Venatorius) avrebbe pubblicato a Basilea l’Editio princeps comprendente la traduzione di Cremonensis del codice A rivista da Regiomontano.
Nel frattempo, parallelamente alle vicissitudini del codice A, stava circolando il codice O. In quegli anni il possessore era il prete tedesco Andreas Coner. Nel 1527 il codice fu acquistato da Marcello Cervini, futuro papa Marcello II. Dal codice O furono copiate parti che andarono a formare il cosiddetto codice M. Nel 1503 l’astrologo campano Luca Gaurico aveva usato il codice M per il suo trattato Tetragonismus idest circuli quadratura per Camapanum, Archimedem Syracusanum atque Boetium mathematicae perspicacissimos adiventa. Il lavoro di Gaurico ha il grande merito di aver reso pioneristicamente fruibili, mediante l’impiego della stampa, alcuni lavori di Archimede.
Molto probabilmente il lavoro di Gaurico non ebbe grande diffusione, tanto che nel 1543 il matematico Niccolò Tartaglia pubblicò gran parte del codice M, con alcune correzioni matematiche, facendo intendere di essere stato lui a tradurre il codice archimedeo dal greco al latino. Tartaglia si era formato in ambiente abachistico. Da autodidatta apprese anche il latino e qualche nozione di greco. In poco tempo Tartaglia diventò uno tra i più stimati maestri d’abaco nonché autore di influenti trattati e di traduzioni. L’azione editoriale di Tartaglia aveva un doppio obiettivo: divulgare l’importanza della conoscenza dei principi geometrici per l’attività professionale di architetti e tecnici e mostrare che anche i non dotti fossero in grado di comprendere testi difficili come quelli di Archimede.
Le strade percorse dal programma editoriale di Regiomontano, seppure solo annunciato, e dal codice O procedettero su vie parallele fino alle traduzioni di Federico Commandino. Come Regiomontano, Commandino era un buon matematico e un profondo conoscitore di greco e latino. Il progetto di restaurazione di Archimede da parte di Commandino era iniziato con l’incontro con Marcello Cervini, il quale aveva donato all’urbinate le opere De analemmate e Sui corpi galleggianti tratte dal codice O, affinché potesse migliorarne la traduzione. Oltre al codice O, Commandino utilizzò il codice greco E conservato presso la Biblioteca Marciana di Venezia e l’Editio princeps pubblicata nel 1544.
L’attività di restaurazione de Sui corpi galleggianti costrinse Commandino a recuperare gran parte del corpus Archimedeo, tanto che nel 1558 decise di pubblicare Archimedis opera nonnulla. L’opera comprende Circuli dimensio (Misura del cerchio), De Lineis spiralibus (Sulle Spirali), Quadratura parabole (Quadratura della parabola), De conoidibus et sphaeroidibus (Conoidi e Sferoidi) e De arenae numero (Arenario).
Nel 1565, circa dodici anni dopo la presa dell’incarico, Commandino terminò la traduzione dei libri I e II de Sui corpi galleggianti. Contemporaneamente all’opera sui galleggianti, Commandino pubblicò anche il Liber de centro gravitatis solidorum, in cui dimostrava che «[i]l centro della gravità del conoide rettangolo sta sull’asse, e lo divide in modo che la parte verso il vertice sia doppia della rimanente parte che sta verso la base», proprietà che, secondo l’urbinate, Archimede aveva utilizzato, ma senza darne la dimostrazione. Baldi rivelava che Commandino fosse persuaso che Archimede avesse studiato o dimostrato tale proprietà in qualche altra opera andata perduta. Pertanto, il Liber de centro gravitatis solidorum si configurava come un recupero ex novo delle proprietà dei solidi che Commandino riteneva conosciute da Archimede. In effetti, col senno di poi, l’intuizione di Commandino si sarebbe rivelata parzialmente corretta: Archimede aveva descritto, seppure per «mezzo della meccanica», come trovare il centro di gravità di un paraboloide di rotazione nel famoso codice C, venuto alla luce solo nel Novecento.
Nella prefazione Commandino rivela che, a seguito dell’imminente pubblicazione de Sui corpi galleggianti, non poteva più attendere il lavoro sui centri di gravità (De Momentis aequalibus) che il matematico messinese Francesco Maurolico stava approntando, seppure lo ritenesse migliore. Pertanto, Commandino scelse di pubblicare il suo trattato sui centri di gravità dei solidi, affinché l’opera sui galleggianti di Archimede potesse essere bene intesa. Il programma di edizione dei classici matematici da parte di Maurolico era pari per ampiezza e impatto culturale a quello di Regiomontano, tuttavia tralasciava il rigore filologico per dare più spazio alla coerenza e alla correttezza matematica. La scelta di Commandino di non differire oltre la pubblicazione era dettata probabilmente dalla voglia di portare a termine un lavoro iniziato circa dodici anni prima, concludendo finalmente il recupero dell’opera archimedea con la completa restaurazione de Sui corpi galleggianti, traduzione pronta presumibilmente dal 1560.
Nel 1566, dopo la morte di Ranuccio Farnese, Commandino pubblicò a Bologna, con dedica a Guidubaldo II della Rovere di Urbino, i testi che aveva emendato e utilizzato per correggere, leggere, interpretare, capire e restaurare i Sui corpi galleggianti e il corpus archimedeo, cioè i primi quattro libri delle Coniche di Apollonio, con i lemmi di Pappo e i commenti di Eutocio, e i due libri di Sereno di Antinopoli (De sectione conica e De sectione cylindri).
Bibliografia: Dijksterhuis, E.J., 1987, Archimedes, Dikshoorn, C. (trad. di), Princeton, Princeton University Press; Frajese, A., 1974, Opere di Archimede, Torino, UTET; Clagett, M., 1964-84, Archimedes in the Middle Ages, Madison, University of Wisconsin Press.