Nel Quattrocento, quando le guerre imperversavano e le città crescevano, i principi-guerrieri, ovvero quei principi dediti all’arte della guerra, diedero un forte impulso allo sviluppo tecnologico delle macchine, chiedendo agli architetti progetti macchinali più belli e più utili da utilizzare negli scenari bellici. Le macchine che venivano richieste non erano solo macchine da guerra, ma anche macchine da impiegare nei cantieri civili e per far divertire. Le macchine militari e quelle utilizzate nei cantieri possono essere ricondotte principalmente a sistemi che facevano uso dell’argano, del verricello, della vite, del piano inclinato e della leva. Queste macchine servivano per sollevare pesi, per trasportare oggetti pesanti o per rendere disponibili le risorse idriche. Invece, le macchine costruite per divertire si presentavo più sofisticate ed erano spesso dotate di meccanismi che possiamo definire all’avanguardia: esse erano delle vere e proprie esibizioni di ingegno. In particolare erano apprezzate le macchine che svolgevano movimenti senza l’intervento di un operatore esterno. Tali macchine, chiamate automi per gli automatismi dei loro meccanismi, erano estremamente apprezzate dai committenti ed era spesso consuetudine per il progettista rinascimentale cimentarsi in questi progetti.
I principi-guerrieri spesso erano anche mecenati. La forza di un signore si misurava dal numero dei soldati alle sue dipendenze e anche dagli artisti, matematici, umanisti che frequentavano la sua corte. Proprio in questi anni assistiamo alla restaurazione dei trattati antichi sulla meccanica da parte degli umanisti. Il recupero della scienza dei greci stimolò la curiosità dei regnanti e degli architetti che dovevano occuparsi della costruzione di macchine. Grazie alle traduzioni latine e volgari dei classici e a un nuovo modo di vedere la meccanica, a lungo considerata arte vile, gli architetti entrano in contatto con nuove conoscenze teoriche e tecniche. In questo quadro si formano importanti personaggi che seppero unire competenze artistiche, idrauliche, meccaniche, architettoniche, geometriche e militari. I protagonisti di questo periodo storico-culturale sono gli artisti-ingegneri, ovvero quelle figure poliedriche dotate di molteplici competenze in grado di ideare, progettare e disegnare in dettaglio opere architettoniche, fortificazioni e macchine verosimilmente funzionanti. Parte essenziale della loro attività è la riproduzione su carta delle loro proposte costruttive, sia architettoniche sia macchinali, in maniera realistica e tridimensionale mediante la tecnica della prospettiva al fine di dare risalto alla profondità e allo spazio. Questa tecnica aiutava a mostrare con maggiore realismo le caratteristiche costruttive e funzionali che rendono i progetti concretamente realizzabili. I primi studi sulla prospettiva possono essere ricondotti all’architetto Filippo Brunelleschi (1337-1446), tuttavia è noto che la prospettiva ricevette una sistemazione teorica con le opere Sulla Pittura (1436 circa, in volgare) dell’architetto-umanista Leon Battista Alberti e De prospectiva pingendi (XV secolo, in volgare) dell’artista-matematico Piero della Francesca. Sebbene questi trattati non ebbero grandissima fortuna tra gli artisti, nelle botteghe la prospettiva veniva appresa e sperimentata imitando il maestro.
Lavorando a stretto contatto con i traduttori, i tecnici erano messi nella condizione di avere facilmente accesso alla letteratura matematica antica. Questo rapporto di collaborazione non era però solo a vantaggio degli ingegneri: la capacità illustrativa degli artisti-ingegneri era ben vista dagli umanisti impegnati nelle traduzioni di trattati sulle macchine, perché spesso il testo restaurato dagli umanisti risultava comprensibile solo avendo a disposizione l’immagine della macchina descritta. Sempre nel Quattrocento l’artista-ingegnere inizia a cimentarsi anche come autore di scritti, sebbene caratterizzati perlopiù da immagini. In queste opere, e soprattutto in quelle riguardanti le macchine, realizzate grazie alla cooperazione tra artisti-ingegneri e umanisti sono spesso presenti rappresentazioni tridimensionali, cioè quelle modalità di espressione tipiche della cultura tecnica rinascimentale.
Possiamo trovare alcuni esempi di questa nuova letteratura caratterizzata dalla forte presenza delle rappresentazioni anche negli scritti dell’ingegnere francese Villard de Honnecourt (XIII secolo), questi destinati prevalentemente ai tecnici, e del medico e consigliere militare italiano Guido da Vigevano (1280-1349 circa). A differenza di Villard de Honnecourt, gli scritti di Guido da Vigevano comprendevano immagini provenienti dai manoscritti antichi e rappresentazioni molto creative. Konrad Keyser (1366-1410 circa), soldato tedesco, ci ha lasciato una raccolta di macchine belliche, designate forse da un artista locale, ricca di citazioni latine (forse anche queste ultime non sono opera sua). L’opera, che secondo gli ultimi studi sembra essere il riusultati delle riflessioni di più autori, è circolata enormemente, anche nel Cinquecento. E’ da segnalare anche il Bellicorum instrumentorum liber del medico Giovanni Fontana (1393-1455). Fontana usa la Meccanica di Erone nella versione araba.
Alla base di questi scritti sulle macchine prodotti da uomini colti ma estremamente interessati all’architettura civile e militare possiamo collocare le opere di Frontino, Vegezio e Vitruvio. Soprattutto il De Architectura di Vitruvio, che all’epoca iniziava a circolare anche in traduzione volgare (ricordiamo che l’Editio princeps esce nel 1486-1487, edita da Eucharius Silber, mentre la prima edizione con immagini esce nel 1511, edita da Fra Giocondo, e la prima versione volgare esce nel 1521, edita da Cesariano), ebbe un impatto notevole sulla formazione degli architetti. Grande diffusione ebbero anche i testi aristotelici, soprattutto la Fisica, la Metafisica, le Meteore, il De anima. Fino alla fine del Quattrocento invece l’importante opere sulla Meccanica rimase in penombra.
A differenze delle opere fin qui citate, le opere di Archimede circolarono con estrema difficoltà, in quanto risultavano essere di difficile comprensione a causa delle traduzioni latine non proprio coerenti e del difficile contenuto matematico. La Meccanica di Erone, al contrario di quelle di Archimede e del trattato di Vitruvio non era al tempo disponibile, se non in versione araba. Nel Quattrocento circolava invece la Pneumatica di Erone, tanto da riscuotere un certo interesse, almeno così emerge da alcuni testi dell’epoca (alcuni esempi sono le opere di Vincenzo Fontana e di Giorgio Valla, si veda Trabucco, O., 2010, «L’opere stupende dell’arti più ingegnose». La recezione degli πνευματικά di Erone Alessandrino nella cultura italiana del Cinquecento, Firenze, Olschki). Un ruolo di primo piano per ciò che concerne la diffusione della meccanica antica lo ebbe anche Giordano Nemorario con le sue opere sulla scienza dei pesi.
Gli studiosi concordano nel ritenere il disegno uno degli elementi caratteristici della cultura tecnica rinascimentale. Ad esempio nel Rinascimento il disegno era ampiamente impiegato da architetti, costruttori e artisti per studiare, mostrare e comunicare il funzionamento dei congegni meccanici e gli elementi architettonici. La formazione di queste figure professionali, che lo storico Carlo Maccagni colloca nel cosiddetto strato culturale intermedio, era caratterizzata dalla frequentazione di scuole d’abaco e botteghe. Questo strato culturale intermedio, posto tra gli analfabeti e i dotti che leggevano e scrivevano in latino, si presentava come una realtà socioculturale estremamente variegata ed eterogenea che si esprimeva sia usando il volgare sia mediante il disegno. Nelle botteghe e nelle scuole d’abaco gli allievi erano abituati ad assimilare e ad apprendere “rubando con gli occhi”. Per questo motivo la cultura tecnica fin qui descritta, a differenza di quella dotta, faceva dell’immagine uno dei principali strumenti di accesso alla conoscenza e di espressione.
Possiamo collocare nel cosiddetto strato culturale intermedio figure come quelle di Francesco di Giorgio Martini e Leonardo da Vinci. Francesco di Giorgio e Leonardo usarono le loro capacità artistiche e le loro conoscenze geometriche per ideare macchine curiose e portentose: essi, da un lato, impiegavano l’arte per meglio visualizzare i problemi meccanici e, dall’altro, esprimevano il loro ingegno mediante rappresentazioni artistiche. Secondo Paolo Galluzzi questi artisti-ingegnerei hanno favorito l’introduzione più sistematica dell’immagine nella trattazione architettonica e macchinale (Galluzzi, P., 1997, Introduzione, in Gli ingegneri del Rinascimento. Da Brunelleschi a Leonardo da Vinci, Firenze, Istituto e Museo di Storia della Scienza, Giunti).
Francesco di Giorgio Martini, ad esempio, nel prologo al Trattato di architettura civile e militare elogia le conoscenze degli antichi e l’utilità del disegno: “Eupompo di Macedonia, egregio matematico, nissuna arte perfettamente negli uomini essere determinava senza aritmetica e geometria. Similmente non solo da lui, ma da molti altri periti non meno necessaria era esistimata l’arte del disegno in qualunque operativa scienza, che le prenominate. Questo medesimo giudicando Apelle e Melanzio esperti matematici, solerti pittori e di grande autorità per tutta la Grecia e massime in Sicione, costituirono che i padri di famiglia ai figliuoli loro e posteri fessero imparare l’arte antigrafica: e conosciuta dopo breve tempo l’utilità sua e la nobiltà di molte scienze delle quali presuppone la notizia, fu in modo celebrata, che, siccome ne scrive Plinio, nel primo grado delle liberali era riputata, nè permettevano che a’ servi insegnata fosse. Onde benchè ai dì nostri sia riputata vile e inferiore a molte altre arti meccaniche, nientedimeno chi considerasse quanto sia utile e necessaria in ogni opera umana, sì nell’invenzione, sì nell’esplicare li concetti, sì nell’operare e all’arte militare; e oltre a questo aritmetica, geometria, prespettiva a questa essere affini, senza errore giudicheria essa essere un mezzo necessario in ogni cognizione, e opera delle cose fattibili con diritta ragione. […] [G]li autori che in architettura hanno scritto, non ci hanno lasciato i libri con l’arte compita, ed i vocaboli loro per le cagioni assegnate sono stati fatti ignoti, e gli esempi gran tempo stati in ruina; onde per molte circostanze considerando le antiche opere de’ Romani e de’ Greci ottimi scultori e architettori, è stato necessario ritrovare quasi come di nuovo la forza del parlare degli autori, e il segno col significato concordando, massime di Vitruvio degli altri più autentico riputato: la qual cosa per forza di grammatica greca e latina mai si è possuto perducere a fine, benchè più peritissimi ingegni nell’una e nell’altra lingua si siano affaticati, come da me e dal mio Signore [Federico da Montefeltro] indutti; e questa mia fatica tanto meno grave parea quanto io trovava le proporzioni dell’opere corrispondere alle autorità e scritture di Vitruvio, e perchè io conosco che non solo dobbiamo render grazie a quelli che nelle arti a noi hanno lasciato la verità elucidata, ma a quelli ancora che ci hanno mosso le quistioni di alcuni secreti, perchè per loro mezzo siamo alla vera notizia pervenuti, come dice Aristotile nella Metafisica sua, e non meno biasimare quelli che con le vigilie e fatiche d’altri acquistar fama desiderano, non volendo cadere in questo vizio d’ingratitudine, nè ancora ornarmi di vestimenti alieni, come molti che le opere d’altri hanno usurpato, e vendicatosi il nome del quale il vero compositore solamente era degno; per questo non sia alcuno che si persuada tutto quello che in questa mia operetta si contiene, voglia reputato sia di mia invenzione: perchè molte conclusioni ho di più libri e massime di Vitruvio estratte et excerte nelle regole delle proporzioni di colonne, basi, capitelli e cornici, e così alcuni esempi e regole del primo, secondo e del quarto libro sono delle fatiche degli antichi, non con poca sollecitudine da me a luce ridotte”. (Francesco di Giorgio Martini, Trattato di architettura civile e militare: con dissertazioni e note per servire alla storia militare italiana, atlante, ora per la prima volta pubblicato a cura di Cesare Saluzzo, edito da Promis, Prologo, tratto dal codice senese]
Grazie al suo impatto immediato e non vincolato dai particolarismi linguistici locali, la rappresentazione artistica divenne presto uno strumento ampiamente utilizzato anche dai principi per comunicare e veicolare il loro potere militare e politico. Ad esempio l’arte era impiegata per celebrare le imprese belliche, come possiamo notare dall’eredità che ci ha lasciato il Duca di Urbino Federico da Montefeltro. Egli fu un illuminato mecenate, uomo colto, specialista nell’arte della guerra e amante di scienze, lettere ed arti. Il legame sempre più forte tra potere, scienza e tecnica è rappresentato nel Fregio dell’arte della guerra, ovvero 72 bassorilievi che al tempo ornavano la facciata del Palazzo Ducale di Urbino. Infatti, all’epoca la guerra non era solamente violenza, ma era astuzia, organizzazione, strategia e ingegno. Ed è proprio in questo contesto sociale e politico che acquistano sempre più importanza gli architetti civili e militari. Queste figure si occupavano di logistica militare e civile, di predisporre le artiglierie, di strategie di offesa e di difesa, di progettare fortificazioni, macchine belliche e civili e per intrattenere le corti.
Su questo tema è interessante il punto di vista di Francesco di Giorgio Martini:
“Ora d’alcuna cosa alla guerra apartenenti e de le macchine e costituzioni d’essa. In prima della providenzia del capitano, el quale debba essare savio, provido e potente di suo, persona auldace, bel parlatore, vigilante, dotto nelle scienzie, curiale, fedele, assueto nelle guerrre, crudel ne le battaglie e sopratutto secretissimo. E queste sono le parti principali circa a la persona sua e senza queste e’ccome nave senza timone” [Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashburhnam 361, f. 47v, trascrizione in Francesco di Giorgio Martini, Trattati di architettura, ingegneria e arte militare; a cura di Corrado Maltese e di Livia Maltese Degrassi, Milano, Il polifilo, 1967].
Bonaiuto Lorini (?-1611), capitano e architetto, era convinto che il disegno fosse uno strumento fondamentale per l’architetto e utile per in generale per l’uomo nelle sue professioni. Lorini scrive nel Delle fortificationi (Libro I. Pratica per disegnare in prospettiva tutte le cose elevate dal piano. CAP. XII) che il disegno è “non solo è utile, ma molto necessario, sì in questa professione del fortificare, come anco in tutte le altre, dove però ciascuno si doveria affaticare per impararlo; atteso che da esso ne dipende la vera intelligentia di tutte le cose: potendosi con questo mostrare quella maggior perfettione, che possa havere l’ingegno dell’huomo, si nell’imitare l’opere maravigliose fatte dalla Natura, e dall’Arte, come anco per mostrare a tutti, e far intendere ogni suo concetto. […] Perché con questo non solo si mostrano tutte le inventioni, e fondamenti di esse (approvando il bene, et emendando il male) ma si rappresentano i siti de paesi, cioè la terra, et il mare, e quanto essa Natura, et Arte habbino operato, e del tutto sopra una semplice carta se ne fa la sua apparente dimostratione, come realmente stà, et doverà stare. Potendosi ancora vedere quanto esso disegno sia non solo utile, ma necessario, e particolarmente nell’esplicare, e fare intendere essi nostri concetti […] il diſegno è molto utile in tutte le professioni, et massime a quelli, che debbono comandare, e fare essequire opere grandi […] E chi disprezzarà, e farà poca stima della intelligenza del disegno, con dire, che è fattura da Mecanici, e da gente di bassa conditione, dico senza alcun dubbio, questi tali essere in grand’errore, e per consequenza poter mancare di perfettione nel comandare, perche chi non sapra fare un disegno, non lo saprà neanco bene intendere”.
La rappresentazione di macchine caratterizza anche le pagine del Mechanicorum Liber (1577) di Guidobaldo del Monte. Quest’opera, scritta prima in latino e poi tradotta in volgare (1581) da Pigafetta, è intrisa di geometria e contiene numerose rappresentazioni geometriche e tridimensionali di una stessa macchina. Le rappresentazioni geometriche hanno la funzione di mostrare le diverse tipologie di equilibrio meccanico e di rendere più agevole la comprensione delle reazioni vincolari a cui le macchine sono sottoposte. Invece, la rappresentazione reale e concreta di una macchina, tipica della cultura tecnica rinascimentale, aveva un maggiore impatto cognitivo. Infatti per i tecnici, considerata la loro formazione, era importante “vedere” se la teoria esposta potesse “concretamente” funzionare. Queste doppie rappresentazioni avevano la funzione di facilitare ai tecnici la comprensione della meccanica spiegata in termini geometrici.